martedì 23 dicembre 2008

Mutazioni genetiche

Sorridi Uomo,
perché è tempo di cambiare.
Sorridi Uomo,
perché non dovrai più aspettare.
Sorridi Uomo,
perché sei sulla strada giusta.
Sorridi Uomo,
perché sei alla ricerca di un nuovo equilibrio
.
Sorridi Uomo,
perché hai subito la mutazione fondamentale.
Sorridi Uomo,
perché il tuo processo evolutivo si è concluso.
Sorridi Uomo,
perché ti sei estinto.

lunedì 14 aprile 2008

Occorre ricostruire

Vorrei fuggire, scappare dal Paese dei mafiosi dei corrotti dei razzisti e dei furbacchioni.
Italiani brava gente? Sono solo inutili cazzate campanilistiche.
Culturalmente tifosi, gli italiani hanno preferito alla squadra di centro capitanata da Walter Furbacchioni, quella di destra allenata da Pier Pier Silvio Furbacchioni.

Gli elettori hanno scelto.
La Sinistra, unica forza politica di opposizione alle barbarie rappresentate dalla xenofobia leghista e dal liberismo veltroniano, non avrà propri rappresentanti in Parlamento.
Volendo fornire una diversa chiave di lettura di questo risultato si potrebbe anche sostenere che gli elettori in realtà abbiano voluto fornire un'opportunità alla Sinistra, quella di potersi riproporre alle prossime scadenze elettorali rinvigorita e purificata dalla penitenza extraparlamentare.

Per poter sconfiggere le destre nel 2006 abbiamo dovuto digerire l'alleanza stipulata con cattolici ed opportunisti di vario genere.
Queste scelte strategiche purtroppo sono risultate poco salutari e soprattutto fallimentari.
L'alleanza mefitica con i neo-democristiani del PD non può e non deve essere più riproposta.
D'ora in poi occorre rivendicare ovunque l'autonomia dei COMUNISTI dal PD e dai loro amici.

Quale sarà il futuro della sinistra comunista?
Io credo che spetti ai militanti dei partiti comunisti decidere cosa fare, innanzitutto organizzando i relativi congressi di partito (sia quello del PdCI che quello del PrC).
Ciò che è stato distrutto in soli due anni, di collaborazione con un governo esclusivamente interessato alla difesa delle grandi rendite finanziarie, si può e si deve ricostruire.
Personalmente penso che sia necessario rifondare in questo Paese un soggetto politico unitario comunista ed anticapitalista.

venerdì 11 aprile 2008

La decisione è presa

Dopodomani si vota ed io dopo un'attenta ed accurata riflessione ho deciso per chi votare.
Seguirò le mie idee, ed anche se dovesse vincere Pier Pier Silvio Furbacchioni non ne farò un dramma. Questo perché che vinca l'uno (Pier Pier Silvio) o l'altro (Walter Weltroni de Furbacchioni) per me non cambierà molto. Il modello di sviluppo economico e sociale infatti rimarrà lo stesso cioè basato sull'ideologia del profitto e del mercato.
Il mio voto perciò sarà un voto COMUNISTA.
Non credo sia necessario esplicitare quale sarà la lista che avrà il mio voto alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica. Il mio infatti non sarà un voto di appartenenza ad un partito (la scena politica è ancora troppo confusa) ma sarà piuttosto un modo per manifestare la condivisione di un ideale. Voterò ancora per un partito ed una lista di chiara ispirazione marxista e comunista.
Voterò Comunista:
- per resistere alle guerre imperialiste;
- per resistere alle ingerenze del Vaticano;
- per resistere alla violenza dell'economia di mercato;
- per sostenere la difesa e la salvaguardia dell'ambiente in cui l'uomo si è evoluto;
- per tanti e troppi motivi...

giovedì 6 marzo 2008

Le orde barbariche

Cullandosi dolcemente,
con nenie provenienti dalla mia
scarsa immaginazione,
il pensiero rivela vie di fuga
ancora inesplorate.
Sentieri da percorrere obbligatoriamente
per sfuggire alle invasioni mediatiche,
nuova calata di orde barbariche.
Giungere in luoghi in cui sia possibile
riorganizzare la resistenza.

domenica 2 marzo 2008

Percorrendo tempi precari

Leggo solo oggi dei maltrattamenti subiti da una cassiera della catena Esselunga (Mobbing, la cassiera in lacrime "Umiliata, ho pensato di morire" - La Repubblica 1 marzo 2008). Purtroppo non penso che episodi del genere siano da considerarsi solo come casi isolati in questo paese oramai democraticamente allo sbando.
Il capitale infatti, alleandosi organicamente con il ceto politico, è riuscito ad imporre l'attuazione di politiche economiche e finanziarie che prevedono la subordinazione dei diritti delle persone e dei lavoratori alle esigenze del mercato (Legge 30, tentativi di soppressione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, Riforme del Sistema Previdenziale, etc...).
I padroni di questo paese hanno giustificato queste politiche, sempre e comunque, sacralizzandole e definendole inevitabili (quando di inevitabile c'è solo la morte). Poi, quando poteva essere arrivato il momento di redistribuire la ricchezza, si sono opposti giustificando tali scelte con le difficoltà economiche internazionali.
Evidentemente soffrono di demenza senile: strano che non ricordino mai che grazie a queste difficoltà economiche internazionali loro hanno continuato ad arricchirsi (magari sfruttando i poveri sempre più poveri).
I sindacati come reagiscono a tutto ciò? Introdotti organicamente nell'economia di mercato non hanno nessun interesse nel difendere realmente i diritti dei lavoratori. Nel caso dell'Esselunga ad esempio le azioni di protesta più eclatanti sono consistite nella proclamazione di uno sciopero di una sola giornata ed in un presidio di solidarietà con la lavoratrice. A me sembra un po' pochino come gesto di solidarietà ad una persona che non solo è stata oggetto di vessazioni padronali inaccettabili ma che è stata anche aggredita fisicamente.
Per timore di essere considerato il solito estremista di sinistra che farnetica contro la classe padronale ho ricercato su google le parole mobbing ed esselunga. Sorpresa tra le sorprese tra le pagine trovate ce n'era una di Diario.it.
L'articolo in questione è datato 1 agosto 2002 ed ho pensato di riportarlo interamente.

Esselunga, diritti corti corti
di Sandro Gilioli (Diario.it - 1 agosto 2002)

La catena di supermercati Esselunga è diffusa al Centro-Nord. Il primo punto vendita venne inaugurato nel 1957 a Milano. Oggi il gruppo conta oltre cento sedi, dislocate in Lombardia, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. Il fatturato dell’azienda, che da lavoro a circa 13 mila persone, supera i 3,36 miliardi di euro l’anno.

MILANO
Qualcuno avvisi Berlusconi e Tremonti che il loro modello di liberismo in Italia esiste già. Viene sperimentato, ogni giorno, in un’azienda con 13 mila dipendenti e un solo padrone. Un’azienda dove il sindacato non esiste o quasi e si lavora perfino il primo maggio. Un’azienda dove le moderne teorie sulla motivazione si mescolano al vecchio autoritarismo di fabbrica. Un’azienda «totale», com’è stata definita, perché tende ad abolire l’identità individuale schiacciando tutti sull’obiettivo unico della qualità e del profitto. Un’azienda che licenzia senza problemi i (pochi) dipendenti che denunciano il clima interno. Un’azienda che si propone come punta di diamante del nuovo capitalismo e tuttavia rifugge la Borsa, perché il suo proprietario non intende condividere la gestione, non rilascia interviste e si fa fotografare il meno possibile.
In questa azienda probabilmente siete entrati qualche volta anche voi, soprattutto se abitate nel Nord. Si chiama Esselunga, è uno dei colossi della grande distribuzione italiana. Ed è lì, tra i banconi dei formaggi e gli scaffali dello scatolame, che si scopre dove vogliono portarci Berlusconi e Tremonti.
Dietro il modello di neocapitalismo aggressivo incarnato da Esselunga c’è un anziano signore che si chiama Bernardo Caprotti. Nel 1957 aprì, con l’aiuto del miliardario americano Nelson Rockefeller, il primo supermercato italiano: era – ed è ancora – in viale Regina Giovanna, a Milano. Il gruppo si chiamava «Supermarkets italiani Spa», ma poi la esse iniziale (disegnata dal grafico Max Huber con una coda lunghissima) finì per dargli il nome attuale. Allora la maggior parte dei commenti fu negativa, se non ironica: gli italiani sono abituati al negozietto sotto casa, si diceva, non faranno mai la spesa in un enorme e algido magazzino dove non vengono neppure serviti.
Poi si è visto com’è andata. Oggi la catena fattura quasi tre miliardi e mezzo di euro l’anno e i punti vendita sono un centinaio, concentrati soprattutto in Lombardia e Toscana.
Fin dai suoi esordi, Esselunga ha interpretato – o forse addirittura anticipato – lo spirito del tempo. Nei primi anni Sessanta, per esempio, quei magazzini in stile americano furono l’emblema della modernizzazione e vennero presto imitati da altri (comprese le cooperative rosse). Più avanti, mentre in tutto il mondo si diffondevano i movimenti di protesta giovanili, in Esselunga coniavano lo slogan «Fate la spesa, non la guerra». Nel 1979, con l’inflazione che volava oltre il 20 per cento, il claim diventò: «Esselunga, prezzi corti». Negli anni Novanta e 2000 lo Zeitgeist ha fatto prevalere l’ironia, ed ecco le pluripremiate campagne dell’agenzia Armando Testa come «Topolino o rapanello?», «Coniglietti o kiwi?» fino ai recenti «John Lemon» e «Porro Seduto».
Il paradosso di Esselunga è che ufficialmente si propone come azienda modello, politicamente corretta e di mentalità aperta. Nel suo sito internet, per esempio, assicura di garantire un «salario equo» a tutti, si vanta di non vendere cibi transgenici e di aver stretto accordi con le associazioni per il commercio equo e solidale. L’ufficio stampa aggiunge che il contratto integrativo è ai massimi livelli salariali e che l’orario di lavoro effettivo è di 36 ore la settimana, contro le 38 di altre catene. Insomma, un quadretto idilliaco. Che tuttavia stride paurosamente con la realtà che sta emergendo da qualche mese, cioè da quando – a poco a poco – alcuni dipendenti ed ex dipendenti hanno iniziato a uscire allo scoperto rovesciando sull’azienda di Caprotti una quantità impressionante di accuse: si parla – nelle lettere a giornali locali e nelle e-mail inviate ai vari siti di chainworkers – di ricatti continui, di mobbing diffuso, di controlli a vista, di lavoratori part-time costretti al tempo pieno, di attività antisindacali e di angherie degli ispettori.
Ma il bubbone è esploso veramente negli ultimi mesi, quando in Lombardia l’azienda ha licenziato e querelato (con richiesta milionaria di danni) due suoi dipendenti – Massimo Brunetti e Cosmi Panza – che su un sito internet avevano definito «mafioso» l’atteggiamento aziendale nei confronti del personale. Questo atto di forza si è rivelato un mezzo boomerang, perché la vertenza ha convinto il sindacato ad aprire finalmente il dossier Esselunga, facendo venire a galla (e non più in forma anonima) decine di denunce sulle condizioni di lavoro, sul clima di paura interno e sulla grande arbitrarietà – al limite del potere assoluto – con cui i capi gestiscono turni e mansioni, domeniche e straordinari, permessi e punizioni. Giovanni Gazzo, il segretario lombardo della Uil-TuCs, usa in proposito un lessico un po’ più duro: parla di «un’azienda dove c’è un rigido sistema di controllo del sacro canone, un sistema dove tutti sono controllori e controllati, un universo totalitario, un regime di fatto, un caso di negazione della libertà e dell’integrità psicofisica della persona, un luogo dove avviene un processo di annientamento dei diritti dei lavoratori e chi non si consegna all’azienda viene inserito nel libro nero». Secondo Gazzo, parlare di mobbing all’Esselunga è riduttivo, perché «il meccanismo repressivo è più grande e riguarda tutti i dipendenti: si tratta di un mobbing strutturale e non occasionale, insito nella cultura organizzativa dell’azienda, che intende la flessibilità come espianto dei diritti, secondo un’ideologia di estremismo imprenditoriale». Gazzo sottolinea che ispettori e capi hanno l’abitudine di «accerchiare i singoli dipendenti in angoli isolati del luogo di lavoro per intimorirli con rimproveri e pressioni». E conclude: «In Esselunga c’è una relazione tra i profitti straordinari e la straordinaria assenza di diritti».

CHAINWORKERS. Sembrano parole pesanti, ma se si va a sentire qualche altro sindacalista che ha avuto a che fare con Esselunga, ci si accorge che Gazzo in realtà è un moderato. Bruno Rastelli, della Filcams Cgil, paragona l’azienda di Caprotti a una fabbrica inquinante. Alex Foti, uno dei giovani dipendenti di catene commerciali che hanno dato vita al sito chainworkers.org, propone «una campagna unitaria contro Esselunga con picchetti davanti ai supermercati, massa critica agli ingressi e boicottaggio dei prodotti». Proprio sul sito di chainworkers, del resto, affiorano altre testimonianze di lavoratori ed ex lavoratori Esselunga che parlano di «feroci controlli», «rapporti dispotici» e «flessibilità selvaggia», per cui «sai quando inizi il turno ma non sai mai quando finisci». Richiesta di fornire una replica a queste accuse, Esselunga risponde con queste quattro parole: «Non corrispondono a verità».
E si ottiene la stessa replica, identica, quando si pone all’azienda qualche domanda sui fatti avvenuti a Firenze, al supermercato di via De Amicis, dove qualche mese fa un dipendente è morto all’improvviso in orario di apertura: i colleghi, sconvolti, hanno chiesto alla direzione di sospendere le vendite per almeno mezz’ora in segno di rispetto, ma l’ideologia del mercato ha prevalso ed Esselunga non ha chiuso nemmeno per un minuto. Allo stesso modo, nessuna spiegazione viene data in relazione a un’altra denuncia che viene da Massa, dove l’azienda userebbe i giovani con contratti a termine (e dunque più ricattabili) per sostituire i dipendenti fissi che aderiscono agli scioperi. La vicenda è finita in Parlamento (con un’interrogazione della deputata diessina Elena Cordoni), ma Esselunga si rifiuta di entrare nel merito limitandosi a un secco: «È tutto falso». Certo è, invece, che i contratti di formazione sono usati in abbondanza in tutta l’azienda di Caprotti, perché creano rapporti di forza piuttosto sfavorevoli al lavoratore, disperatamente in cerca di conferma al termine dei venti mesi e dunque disposto a tutto quanto a tempi e mansioni.
Ancora silenzio da parte dei vertici sul grande supermercato di San Donato milanese dove le dipendenti hanno rivelato al settimanale locale L’Eco di non poter neppure andare a fare la pipì: i sorveglianti infatti restano fuori dalla porta e bussano dopo pochi minuti. Con molta riservatezza aziendale ci si scontra anche quando si chiedono spiegazioni sul caso Jasmine, una lavoratrice somala di 23 anni che era in servizio all’Esselunga di Casalecchio di Reno (in Emilia) ma dipendeva da una cooperativa di pulizie esterna: il primo giorno di Ramadan la ragazza, di credo islamico, ha suscitato le ire del direttore del supermercato per essersi presentata con un velo sul capo, ed è stata licenziata. «Mi hanno detto: o il lavoro o il velo», racconta Jasmine. Che aggiunge: «In verità il mio non era nemmeno uno chador, ma un semplice fazzoletto rosso decorato che lasciava scoperto il viso».
L’azienda di Caprotti si chiama fuori: «Abbiamo appaltato le pulizie di Casalecchio a una società con personale proprio, che svolge il servizio in piena autonomia. Non esiste, pertanto, alcun rapporto tra Esselunga e il personale della ditta appaltatrice: la signora in questione era una dipendente di tale società. Insomma Esselunga è estranea ai fatti». Già. Peccato che a lamentarsi del velo sia stata non la cooperativa, ma la direzione del grande magazzino locale. E peccato che dopo essere stata mandata via dal supermercato, la dipendente sia stata riassunta dalla stessa cooperativa per fare le pulizie in un altro posto, una casa di riposo, dove nessuno ha da ridire per il fazzoletto.
Quello dell’outsourcing, cioè dell’uso di personale esterno, è del resto un altro aspetto del nuovo capitalismo di cui Esselunga si fa volentieri interprete. Il sindacato di base denuncia che nello stabilimento principale dell’azienda, a Pioltello, vicino a Milano, «interni ed esterni lavorano fianco a fianco», ma «i secondi sono costretti a carichi di lavoro quasi raddoppiati, con turni prolungati e decisi giornalmente, spesso in assenza di misure antinfortunistiche». La Asl, secondo il sindacato di base, ha riscontrato un’incidenza di infortuni tra i soci-lavoratori di dieci volte superiore rispetto a quella dei dipendenti «diretti» di Esselunga. Sempre a Pioltello è emersa, qualche tempo fa, la vicenda di una trentina di filippini (dipendenti anche loro di una cooperativa) licenziati per aver tentato di organizzarsi sindacalmente. Esselunga, naturalmente, dice di non averci nulla a che fare: gli asiatici erano di un’altra società, «noi abbiamo vinto tutte le cause che ci hanno fatto».
Eppure, spiegano alla Filcams Cgil milanese, non si può dipingere semplicisticamente Caprotti come un padrone delle ferriere ed Esselunga come un lager dove tutti i lavoratori vorrebbero ribellarsi. La situazione reale è più frastagliata e la politica dell’azienda pure. Certo, ci sono controlli stretti e verifiche continue dell’organizzazione, talvolta angherie e maltrattamenti, ma i dipendenti – soprattutto i quadri – vengono anche stimolati con premi e promozioni in misura più larga che nella concorrenza. La filosofia dell’alta qualità dei prodotti, un vero pallino di Caprotti, viene usata per coinvolgere il personale e farlo sentir parte di un progetto al servizio del consumatore. E chi mostra di adeguarsi al modello aziendale, chi accetta i riti gerarchici, chi offre la massima disponibilità, chi evita il contagio sindacale, chi offre il caffè al suo superiore, chi s’interessa alla buona esposizione delle merci e alla pulizia dei corridoi, chi chiede notizie sugli incassi della giornata, insomma chi accetta di vivere l’azienda come una famiglia non viene affatto maltrattato. Anzi: ottiene promesse di carriera e turni migliori. Anche così, forse, si spiegano le difficoltà che il sindacato incontra in molti supermercati: «quelli che non ci stanno» rappresentano alla fine una quota minoritaria e la loro rabbia non trova facilmente né solidarietà né rappresentanza. Tanto più in un’impresa secondo la quale «accettare il sindacato in azienda è come portarsi le puttane sotto casa», come ha elegantemente asserito un dirigente Esselunga di Milano, creando qualche imbarazzo allo stesso Caprotti.
Per contro, la politica di incentivazione, specie ai livelli più alti, regala a Esselunga la fama di azienda-mito nella grande distribuzione. In particolare, ci sono buyer (i compratori di quelle merci che poi Esselunga rivende al dettaglio) che con il tempo arrivano a guadagnare attorno ai 6-7.000 euro netti al mese. Il loro mito e modello è un’antica istituzione aziendale, certo Guaitamacchi, che parlando metà in italiano e metà in milanese ha cresciuto nei decenni la generazione dei buyer attuali, abituandoli a lavorare anche 14 ore al giorno, spedendoli al mattino alle sei ai mercati generali del pollo e della carne.

INDAGINE SOCIOLOGICA. Questo mix di autoritarismo e premiazione – modello a cui aspirano tanti imprenditori che vedono in Caprotti il loro idolo – ha convinto la Uil-TuCs lombarda a far partire uno studio sociologico sull’Esselunga, in collaborazione con la cooperativa Sensibili alle foglie, quella creata da Renato Curcio. Ne è nato un libro appena uscito che s’intitola appunto L’azienda totale (Sensibili alle foglie, 104 pagine, 12 euro). Il campo teorico della ricerca è tutta la grande distribuzione, ma il sindacato non ha difficoltà a spiegare che «l’azienda immaginaria» indicata nel libro altro non è che il gruppo di Caprotti. «Il titolo», spiega Curcio, «si riferisce al fatto che, come il carcere o il manicomio, a volte anche l’azienda diventa un’istituzione totalizzante, cioè che occupa totalmente la vita di una persona, la cui identità individuale non conta più nulla perché viene annegata nell’identità aziendale». Per raccontare Esselunga e le altre aziende simili, Curcio parte da lontano: da un monaco zen giapponese, Sotetsu, che viene educato fin dalla più tenera età alla disciplina, all’obbedienza e alla sottomissione al suo ordine, a cui dovrà essere leale fino alla morte. Insomma, cresce nel culto del sacrificio di sé in nome di una grande causa. Nel corso della sua vita, però, Sotetsu vede cambiare (due volte) sotto gli occhi la grande causa a cui tutto offrire: prima è l’ordine monastico, poi (durante la guerra mondiale) è l’imperatore, infine (nel dopoguerra) è l’azienda. Infatti negli anni Cinquanta e Sessanta Sotetsu scopre che gli stessi maestri zen che gli avevano insegnato tutto sono passati al servizio delle corporation e che gli stessi principi (assunzione dell’identità collettiva ed eliminazione dell’identità personale) sono applicati all’interno delle aziende per creare più coinvolgimento e più produttività. Nel 1983 Sotetsu si suicida, ma le dinamiche da lui esposte si estenderanno rapidamente al di fuori del Giappone, fino a coniugarsi perfettamente con le esigenze del nuovo capitalismo. «E la grande distribuzione», dice Curcio, «applica ormai gli stessi dispositivi di negazione dell’identità personale mutuati da quella cultura giapponese». Meccanismi in cui la parola chiave è «disponibilità» nei confronti dell’azienda, sia in termini di orari sia come adesione ideologica. Curcio lo definisce «un ipermobbing», perché si impone al lavoratore di conformare la sua persona agli interessi dell’azienda fin dal primo giorno in cui prende servizio. E la sofferenza che ne deriva, quella sofferenza causata dalla soppressione dell’io, finisce per trovare uno sfogo nella medicalizzazione, cioè negli psicofarmaci, il cui consumo in Italia è in crescita geometrica.
Emerge così, in modo piuttosto violento, un altro aspetto in cui Esselunga rappresenta al meglio il peggio della modernità, cioè la prevalenza assoluta del consumatore sul produttore. Un «effetto collaterale» del neocapitalismo per cui alla qualità del prodotto offerto al consumatore viene sacrificata la qualità della vita imposta al produttore. «La soddisfazione del cliente è il principale valore aziendale», recitano le brochure del gruppo: quello che viene taciuto è il costo umano, esistenziale, che sta dietro l’idolatria del servizio offerto al cliente. «Prima o dopo», dice Gianni Rodilosso, segretario nazionale della Uil-TuCs ed ex lavoratore Esselunga, «ci si accorgerà che il consumatore altro non è che un produttore che ha finito il suo turno di lavoro. E questo vale per la grande distribuzione come per i call center, per i fast food come per le aziende della old economy. Ma non è un percorso semplice né immediato».

CONTRATTI CAPESTRO. Nell’attesa, il vecchio Bernardo Caprotti continua a ispezionare personalmente e in incognito i suoi supermercati, magari in compagnia del figlio e delfino Giuseppe. Vanno a verificare che la verdura sia fresca, i corridoi puliti e le cassiere veloci. Obiettivo più frequente, il grande magazzino di viale Piave, a Milano, non lontano dall’appartamento del patron di Esselunga. A temere questi raid non sono soltanto i lavoratori della catena, ma anche i suoi fornitori: produttori di vini e di tortellini, di carta igienica o di fagioli borlotti che ambiscono a vedere la propria merce ben esposta nei negozi Esselunga «famosi per la qualità» (come recita un altro slogan aziendale). Il punto è che arrivare sugli scaffali di Caprotti non è affatto semplice: a mezza bocca, i fornitori raccontano che il gruppo impone contratti capestro e sconti feroci, senza alcuna garanzia di fatturato, forte della sua immagine istituzionale, soprattutto in città come Milano e Firenze. E chi non si piega, resta fuori: negli anni Ottanta fece scalpore un litigio con i Barilla che costò al gruppo emiliano una lunga esclusione dei prodotti Mulino Bianco dagli scaffali della catena distributiva. Qualcuno, tra i fornitori, parla esplicitamente di «ricatti», ma la parola viene pronunciata solo sotto il più assoluto anonimato.
Altri invece definiscono Esselunga «una controparte dura ma affidabile», che pone condizioni pesanti ma poi garantisce l’effettiva esposizione dei prodotti negli spazi concordati, al contrario di altri gruppi concorrenti.
Chissà se a Caprotti tutto questo recente baccano attorno a Esselunga interessa o no. Più probabilmente, gli darà fastidio che un’azienda storicamente familiare come la sua sia divenuta oggetto di studi sociologici e sia considerata punta di quell’iceberg che è il neoliberismo totalizzante. Proprio lui, che per l’estrema riservatezza nei rapporti con i mass media è stato paragonato addirittura a Enrico Cuccia. Lui che ha investito miliardi per cucire, anno dopo anno, un’immagine positiva e politicamente corretta attorno al suo gruppo, proibendo (primo in Italia, insieme con la Coop) tutti gli alimenti transgenici e puntando sul mercato del biologico. Lui che ha sponsorizzando riserve ecologiche e naturali, come la Fattoria delle Rondini, un parco della Lipu appena inaugurato sul Ticino. Lui che ha preso accordi con associazioni «di sinistra» come Ctm Altromercato per portare nella grande distribuzione i prodotti del commercio equo e solidale. Lui che, infine, ha dato vita a un progetto contro il lavoro minorile nel Terzo mondo, inserendo tra i premi della Fìdaty Card i palloni da calcio garantiti antisfruttamento con lo slogan «Esselunga dalla parte dei bambini».
Già, la Fìdaty Card, il piccolo grande fratello in versione supermercato, introdotta da Caprotti nel 1994 e oggi nelle tasche di oltre due milioni di persone. Più del 90 per cento del venduto aziendale, ormai, passa attraverso questo filtro. La carta esiste in varie versioni, ma fondamentalmente ha lo stesso scopo: regalare sconti e premi ottenendo in cambio la risorsa più preziosa nel nuovo capitalismo, cioè le informazioni. In particolare, informazioni sui gusti dei clienti, sulle abitudini d’acquisto, sui comportamenti di fronte a un nuovo packaging, a una promozione, a un particolare posizionamento sugli scaffali.
Ma la Fìdaty rivela anche interessi, hobby, stili di vita: se compri cibo per gatti si sa che hai in casa un gatto, se acquisti spesso scatole di profilattici racconti al signor Caprotti che hai un’intensa vita sessuale, se passi ai pannolini lo informi che hai avuto un bimbo. E poi, che cosa puoi sapere di quel che accade a queste notizie su di te? Quanto sarebbe disposta a pagare un’azienda di cibi per gatti, di profilattici o di pannolini per conoscere i nomi, gli indirizzi, i gusti e le abitudini d’acquisto dei propri potenziali clienti? Il gruppo naturalmente nega di vendere informazioni a terzi: «I dati sono trattati secondo la legge sulla privacy e non vengono commercializzati», assicura l’ufficio stampa. Sarà. Però quando sullo scontrino ti ritrovi gli auguri per il compleanno, qualche perplessità sulla Fìdaty viene anche al meno smaliziato degli avventori.
Ma in tutta questa esibizione di modernità, nel bene o nel male, c’è in Esselunga anche un elemento forte di caro, vecchio capitalismo nostrano: i rapporti con il potere politico. Caprotti è troppo intelligente per non sapere che in Italia non basta premiare e punire i dipendenti, non basta inseguire il mito della qualità totale, non basta imporre le proprie condizioni ai fornitori: bisogna anche coccolare gli onorevoli, sedurre gli assessori, coltivare i ministri. Ed ecco allora il patron di Esselunga comparire prima tra i finanziatori di Bossi e poi tra quelli di Forza Italia, con tanto di cene fra imprenditori per foraggiare le campagne elettorali azzurre.
Generosità, simpatia politica, apprezzamento personale? Certo, certo. Ma a Esselunga arrivano subito anche concessioni edilizie su aree dismesse a Milano e dintorni, soprattutto da Albertini. Il quale – denuncia il leader dell’opposizione milanese, Sandro Antoniazzi – «ha appaltato all’Esselunga nove piani su 11 di ripristino urbano». La riconversione delle ex fabbriche del Nord in edifici commerciali è una grande festa appena iniziata, e Caprotti è uno dei principali invitati.
Il rapporto con la Lega in verità è peggiorato da quando la Rewe, azienda tedesca della grande distribuzione a lungo alleata con Esselunga, ha costruito un Penny Market proprio sullo storico pratone di Pontida, quello dei megaraduni padani. Bossi non ha gradito l’ingombrante hard discount e se n’è lamentato a modo suo, anche durante gli ultimi comizi. Restano ottime invece le relazioni con Berlusconi, con il quale Caprotti non nasconde di trovarsi in piena sintonia da anni. Anche la scelta di tenere aperti i supermercati nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio, date storicamente sacre alla sinistra, ha un palese significato politico, benché l’azienda si trinceri dietro la consueta filastrocca consumerista («Abbiamo voluto solo garantire il servizio ai nostri clienti»). Tra i primi disegni di legge del suo secondo governo, Berlusconi ha inserito la riduzione dei benefici fiscali di cui godono le cooperative. Sarà un caso, ma il maggior concorrente di Caprotti è proprio la Coop.

venerdì 29 febbraio 2008

Riflessioni pre-elettorali

Negli ultimi quindici giorni ho pubblicato materiali della campagna elettorale dei principali partiti della sinistra e documenti riguardanti il dibattito interno al Prc.
Nell'ultimo post da me redatto, intitolato "Il Decacalogo (di Diegowski)", ho spiegato che il mio voto andrà (e ribadisco che non so veramente a chi possa interessare tutto ciò) a quelle forze politiche i cui obiettivi programmatici minimi siano:
1) la lotta alle mafie ed alla corruzione anche attraverso la promulgazione di leggi che prevedano l'ineleggibilità e la sospensione a vita da qualsiasi incarico pubblico per tutti coloro i quali siano stati condannati in via definitiva per corruzione o per reati di mafia (compreso il favoreggiamento di qualche mafioso);
2) l'estensione dei diritti di cittadinanza a tutti gli immigrati, la chiusura dei C.P.T. e l'abrogazione della Legge 189/2002 (Legge Bossi - Fini);
3) il miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori anche attraverso l'abrogazione della Legge 30/2003 (impropriamente detta Legge Biagi)
4) la riforma socialmente sostenibile del sistema previdenziale;
5) la tassazione delle rendite finanziarie;
6) la riconversione energetica del Paese alle fonti cosiddette rinnovabili (eolico, fotovoltaico, solare termodinamico, idrogeno, biomasse);
7) il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione;
8) il rispetto della vita introducendo il diritto dei cittadini alla buona morte (eutanasia), difendendo la Legge 194/1978 e modificando radicalmente la Legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita;
9) il riconoscimento giuridico delle cosiddette "famiglie di fatto";
10) l'utilizzo dell'8 per mille, versato dai contribuenti allo Stato, per finanziare la cultura, l'istruzione pubblica e la ricerca scientifica e tecnologica (e non la Chiesa Cattolica).

I programmi elettorali sono stati oramai presentati, per la scelta definitiva però aspetterò (soprattutto per quanto riguarda "La Sinistra - L'Arcobaleno") che vengano ufficializzate anche le candidature.
Sul Blog (http://parole-in-libertas.blogspot.com/) nel frattempo proseguirò nella mia opera di diffusione delle idee e dei programmi delle sinistre comuniste italiane.
Buone riflessioni pre-elettorali a tutti.

martedì 26 febbraio 2008

Malaràzza

Nu sèrvo tiémpo fà rint' a na piazza
pregava a Cristu 'ncroce e ci ricìa:

"Cristu lu padròni mio me trapazza
me tratta comm' 'o cane e' miez' 'a via

Si piglia tutto cu' la sua manazza
manco la vita mia dice ch'è mia
distruggila Gesù stà' malaràzza
distruggila Gesù fall' pi mìa ...
fall' pi mia"

E Cristu ci'arrispùnni dalla cruci
picchè si sò' stizzàte li tò' vrazza
chi voli la giustizia sì la fazza
nisciùno ormai cchiù la farrà pi tìa

Sì tu sì' n'omo e nu sì' testa pazza
ascolta beni stà' sintènzia mia
ca io 'nchiudàto 'ncruci nun sarìa
s'avissi fatto ciò ca dico a tìa
ca io 'nchiudato 'ncroci nun sarìa

Tu ti lamenti ma che ti lamenti
piglia lu bastùni e tira fòri li denti

Adattamento di Domenico Modugno di un componimento popolare, questa canzone è stata reinterpretata recentemente sia da Roy Paci che dal gruppo operaio e Zèzi.
(e Zèzi - "diàvule a quàtto", il manifesto 2003)

La fabbrica






Il cinque di marzo del quarantatre

nel fango le armate del duce e del re
gli alpini che muoiono traditi lungo il Don.
Cento operai in ogni officina
aspettano il suono della sirena
rimbomba la fabbrica di macchine e motori
più forte è il silenzio di mille lavoratori.

E poi quando è l'ora depongono gli arnesi
comincia il primo sciopero nelle fabbriche torinesi.

E corre qua e la un ragazzo a der la voce
si ferma un'altra fabbrica altre braccia vanno in croce.
E squillano ostinati i telefoni in questura
un gerarca fa l'impavido ma comincia a aver paura.

Grandi promesse la patria e l'impero
sempre più donne vestite di nero
allarmi che suonano in macerie le città .

Il dieci marzo il giornale è a Milano
rilancia l'appello il PCI clandestino
gli sbirri controllano fan finta di sapere
si accende la boria delle camicie nere

Ma poi quando è l'ora si spengono gli ardori
perché scendono in sciopero centomila lavoratori

Arriva una squadraccia armata di bastone
fa dietro-front subito sotto i colpi del mattone
e come a Stalingrado i nazisti son crollati
alla Breda rossa in sciopero i fascisti son scappati.

(Stormy Six - 1975)

lunedì 25 febbraio 2008

Povera patria

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos'è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
Questo paese è devastato dal dolore...
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà
sì che cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare.

(Franco Battiato - "Come un cammello in una grondaia", 1991)

martedì 12 febbraio 2008

Il Decalogo (di Diegowski)

Un anno fa nel post intitolato "peccato" dichiarai la mia totale delusione per il governo guidato da Romano Prodi.

Ma la speranza è veramente l'ultima a morire?
Negli ultimi mesi della sua vita, il governo Prodi ne aveva suscitate in me alcune, prima fra tutte quella di riuscire ad attuare finalmente quelle politiche sociali e del lavoro promesse agli elettori nel 2006.
L'intervento dei soliti Furbacchioni ha però posto fine tragicamente alla vita del governo ed ha quindi vanificato ogni mia seppur flebile speranza.
Oggi a circa due mesi dallo svolgersi delle elezioni politiche anticipate la mia valutazione del governo Prodi è nel complesso negativa.
A questo punto la domanda che mi pongo è: a chi andrà il mio voto il prossimo 13 e 14 aprile? (E soprattutto, a chi gliene frega?)

Il mio voto non andrà ad una forza politica di destra o ad una di centro, né tantomeno ad una di centro-sinistra (quella che abbiamo, tragicamente schiava delle ideologie mercantili, ha terminato il processo di omologazione al Furbacchioni pensiero).
Il mio voto andrà alla forza politica di sinistra (comunista) che avrà come obiettivi della propria azione politica:
1) la lotta alle mafie ed alla corruzione anche attraverso la promulgazione di leggi che prevedano l'ineleggibilità e la sospensione a vita da qualsiasi incarico pubblico per tutti coloro i quali siano stati condannati in via definitiva per corruzione o per reati di mafia (compreso il favoreggiamento di qualche mafioso);
2) l'estensione dei diritti di cittadinanza a tutti gli immigrati, la chiusura dei C.P.T. e l'abrogazione della Legge 189/2002 (Legge Bossi - Fini);
3) il miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori anche attraverso l'abrogazione della Legge 30/2003 (impropriamente detta Legge Biagi)
4) la riforma socialmente sostenibile del sistema previdenziale;
5) la tassazione delle rendite finanziarie;
6) la riconversione energetica del Paese alle fonti cosiddette rinnovabili (eolico, fotovoltaico, solare termodinamico, idrogeno, biomasse);
7) il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione;
8) il rispetto della vita introducendo il diritto dei cittadini alla buona morte (eutanasia), difendendo la Legge 194/1978 e modificando radicalmente la Legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita;
9) il riconoscimento giuridico delle cosiddette "famiglie di fatto";
10) l'utilizzo dell'8 per mille, versato dai contribuenti allo Stato, per finanziare la cultura, l'istruzione pubblica e la ricerca scientifica e tecnologica (e non la Chiesa Cattolica).

A questo punto non mi resta che l'imbarazzo della scelta, o quasi.

lunedì 4 febbraio 2008

Curiosità

Al termine
di un percorso esistenziale
sovraccarico di emozioni condivise,
ci si concede favorevolmente
all'oblio.
Le immagini non viste,
i suoni non uditi
e tutte le esperienze non vissute
ti costringono a vivere ancora.
Forza motrice del tuo pellegrinaggio,
la curiosità ti condurrà
in tempi e luoghi
non ancora immaginati.

domenica 3 febbraio 2008

Eventi privi di sostanza

Una sequenza cronologica
di eventi privi di sostanza,
stupisce finalmente;
grave il tono assunto
e la triste felicità approda
allo sconforto esistenziale.
Folla vociante ed io,
stranamente silenzioso,
parlo d'affinità non fornendo
prove concrete.
Urlano, fumando ci intossicano,
smarriti in questa follia
cerchiamo, probabilmente,
un punto di incontro;
e non vorrei che fosse
vanificato improvvisamente questo
splendido insegnamento.

giovedì 31 gennaio 2008

Tempi precari

Decisamente prosegue
il mio andare
in tempi precari.
Adagio, senza scossoni
salvaguardo la mia,
la tua fragilità.
Trattengo le immagini originarie:
la terra rossa,
la macchia mediterranea e
le pietre come elementi costruttivi.
Ostinato,
porto a termine ogni progetto,
cosciente
di non dover rimpiangere nulla.

mercoledì 30 gennaio 2008

Famiglia Furbacchioni

Avanti così!!! Continuiamo a farci del male.
Quella dei Furbacchioni in Italia è un'antica, prestigiosa e numerosa famiglia.
Monarchi e Pontefici ma anche semplici bottegai hanno contribuito a dar lustro alla sacra famiglia Furbacchioni.
Come riconoscere i Furbacchioni?
I membri dell'onorata famiglia Furbacchioni sono per lo più abili truffatori e spregiudicati mentitori. Per poter esercitare tali abilità sin dalla più tenera età perseguono, come fine ultimo della loro squallida esistenza, la conquista e la gestione mercantile del potere.
Il più ricco e potente?
Pier Pier Silvio Nano Furbacchioni.
Il più devoto?
Fra Clemente Furbacchioni da Ceppaloni.
Ed i più fessi?
Naturalmente sono coloro i quali nonostante tutto continuano a fidarsi dei propri parenti Furbacchioni.

Berlusconi assolto

"Il falso in bilancio non è più reato"

Grazie di esistere fratelli Massimo e Walter Furbacchioni.

martedì 29 gennaio 2008

Sonica 2000

Siamo la gioventù Sonica,
si espande, in noi, tutto
troppo velocemente e vorremmo
restare ad osservare.
Privi d'umorismo, ridiamo
di tutto ciò che è libero pensiero;
diradiamo, così, ogni nostra
sensazione psichica
perché siamo La Gioventù.
Sonica si è smarrita, eppure
sarebbe stata una bella
soddisfazione ritrovarne
in noi il vero spirito.

domenica 27 gennaio 2008

Giornata della memoria

27 gennaio 1945
L'esercito dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche libera il campo di sterminio nazista di Auschwitz.

26 gennaio 2008
Una giornalista, del quotidiano "Taranto Sera" scrive un articolo dal titolo e dal contenuto veramente imbarazzanti: Il nostro campo di concentramento.
Capisco la voglia di dimostrare quanto Taranto ed i Tarantini abbiano sofferto durante la seconda guerra mondiale, ma per questo non sarebbe bastato ricordare i bombardamenti subiti dalla cittadinanza tra il 1940 ed il 1943 e non lo avrebbe potuto fare nel giorno della memoria di tutti gli Italiani ovvero il 25 aprile?
La giornalista in questione, invece, si spinge oltre e cerca un'analogia ad effetto per i Tarantini.
Francamente non ho capito perché l'articolo in questione sia stato scritto. Si è voluto forse favorire il processo di riconciliazione nazionale (che tanto piace a certi politici del centro-sinistra) oppure si è preferito coinvolgere i fascisti di Salò (e perché non le SS) nella "giornata della memoria"?
L'articolo paragona un campo di prigionia militare gestito dagli inglesi (nel quale, nonostante le condizioni di vita difficili, si sopravviveva) con i campi di concentramento e di sterminio nazisti. Occorre forse ricordare alla giornalista smemorata che nei campi nazisti vennero rinchiusi civili (perché appartenenti alle comunità ebraiche, rom oppure perché considerati "ariani" geneticamente inferiori come ad esempio omosessuali, malati mentali e comunisti) e che in essi la maggior parte dei prigionieri venne uccisa?
Come è stato possibile permettere la pubblicazione di questo articolo? Si scuserà mai qualcuno con i lettori del giornale?

sabato 26 gennaio 2008

Onorevole Furbacchioni

L'Onorevole Furbacchioni da Ceppaloni ha dato ancora una volta dimostrazione agli italiani di esserne un degno rappresentante.
Italiani dovete essere come me dei furbacchioni, o fate i furbi o siete dei gran fessi!
Questo è stato, secondo il mio modestissimo parere, il messaggio politico che Furbacchioni ha rivolto agli italiani.
Furbacchioni sa, appunto come ogni bravo politico furbacchione di questo Paese, che per poter addebitare le proprie responsabilità ad altri è necessario innanzitutto fingersi vittima di un complotto (delle "toghe rosse", del "furore laicista ed anticlericale" e perché no di Zeus in persona). In questo processo poi si è più credibili se durante la dichiarazione di voto al Senato, in cui si sta cercando di giustificare una scelta puramente opportunistica, si citano ad effetto le parole di un grande poeta. Queste dimostreranno ai telespettatori non solo la smisurata cultura ma anche la profonda sensibilità e passione politica dell'oratore.
Perché allora non citare Pablo Neruda? Dopotutto fu perseguitato anche lui per motivi politici (era un comunista).

Ed invece il giorno dopo si scopre miseramente che...

"Non è di Neruda quella poesia e lui non avrebbe gradito la citazione"

... l'oratore non era poi così colto. In quanto poi alla sensibilità ed alla passione politica lascio il giudizio ai posteri.

venerdì 25 gennaio 2008

Vola vola vola l'Ape Maia

La sinistra operaia
non è come l’Ape Maia,

chi non vola radente

si arrende.

I servilismi, gli accomodamenti,

la rabbia increspa

l’animo e lo rende

virulento pensiero.

Vola l’Ape Maia

sui pensieri più dolci,

melensi e accondiscendenti.

La sinistra operaia

non è come l’Ape Maia,

chi non si arrende
vola radente.

giovedì 24 gennaio 2008

Piccola allucinazione

Severa ed autorevole si erge, tra palcoscenici industriali, la figura che mi dà panico.
Ricostruisco pian piano il sogno o l'allucinazione cui ho partecipato da protagonista.

Un folle, rappresentavo la tragedia di un folle in “rotta di collisione” con se stesso, una riscrittura di un mio antico dramma.
Osservavo con cauta rassegnazione l’avvento al potere d’idioti idolatrati da folle assolutiste; misuravo tramite questi “esseri” lo scorrere impetuoso del tempo, che cancellava le loro stupide conquiste con estrema tranquillità.
Giacendo al suo fianco seppi dare una misura al tempo; nonostante tutto continuo a giungere in notevole ritardo.

martedì 22 gennaio 2008

W il comandante "Bulow" e tutti i Partigiani d'Italia

E' morto il comandante "Bulow" Arrigo Boldrini.
Desidero salutarlo e ringraziarlo.
Grazie ai Partigiani, grazie a tutti coloro i quali si sono opposti al fascismo.
Garantire alle generazioni future un avvenire migliore, un avvenire costruito sulla pace e sulla giustizia sociale. E' questo per me lo spirito più autentico della Resistenza ed è l'esempio da seguire.

giovedì 17 gennaio 2008

Storia del movimento operaio a Taranto

Alla ricerca su google di persone da me conosciute mi sono imbattuto in un atto parlamentare relativo alla seduta pomeridiana del 20 giugno 1956. A comparire in questo atto i nomi di mio nonno Antonio Intelligente e quello di suo fratello Dante. Entrambi in quegli anni erano dipendenti civili, seppur con qualifiche diverse, dell'Arsenale della Marina Militare di Taranto.
A parlare dei due e di molti altri dipendenti dell'Arsenale fu l'Onorevole Candelli (presumo del P.C.I.).
Candelli descrive, nell'ordine del giorno da lui presentato (da pag. 26174 a pag. 26183), le condizioni di lavoro agghiaccianti all'interno dello stabilimento e chiede spiegazioni al Ministro della Difesa Taviani riguardo agli abusi ed alle umiliazioni che il comando militare dell'arsenale fa patire ai lavoratori militanti della C.G.I.L. e dei Partiti Comunista e Socialista.

Cattolici permalosi distolgono l'attenzione...

Via le truppe Italiane dall'Afghanistan!!!
Non c'è altro da aggiungere dopo le affermazioni fatte dal capo del Pentagono Robert Gates sul modo in cui viene condotta la guerra nel Sud dell'Afghanistan (missione di pace per il nostro Ministro degli Esteri) dagli alleati della NATO (europei e canadesi). Naturalmente lo stesso Gates tende a precisare che gli strateghi ed i soldati USA non solo sono bravissimi e preparatissimi ma nel Nord dell'Afghanistan stanno ottenendo risultati spettacolari.
A questo punto la domanda sorge spontanea, perché gli USA non scelgono di combattere queste guerre (imperialiste) senza l'apporto di alleati incompetenti? Non sarebbe sufficiente ringraziare e rifiutare cordialmente l'aiuto offerto da tali inetti?
Questa notizia però domani non troverà spazio e verrà scartata dai telegiornali e dai giornali radio nazionali. I nostri amici distillatori di informazioni saranno troppo impegnati ad ammorbarci l'anima: con le polemiche sul Sommo Padre che umiliato ed offeso dopo le critiche, peraltro legittime, ha rinunciato a mostrare il suo disarmante eloquio retorico all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università La Sapienza di Roma; con i particolari scabrosi del matrimonio tra il Presidente Francese Sarkozy e la modella "Italiana" Carla Bruni; infine con le dimissioni (da Pulcinella?) del Ministro Clemente Mastella dopo l'arresto della moglie.

lunedì 14 gennaio 2008

Laicità!!!

In questi anni la chiesa cattolica ha cercato in tutti i modi di condizionare le scelte politiche in temi inerenti il controllo del corpo dell'uomo e della donna come ad esempio per la procreazione assistita, l'eutanasia ed ultimamente proponendo una moratoria internazionale contro l'interruzione volontaria di gravidanza.
Ma la battaglia più cruenta ed antistorica che questo pontificato sta sostenendo è sicuramente quella contro la ricerca scientifica (accusata sostanzialmente di non ringraziare sufficientemente il "creatore").
E' per questo che dichiarandomi a favore di aborto, eutanasia e ricerca scientifica (laica) voglio esprimere soddisfazione per l'appello (pubblicato su La Repubblica) firmato dai docenti dell'Università di Roma "La Sapienza" e rivolto al loro Rettore.

"Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l'intervento di papa Benedetto XVI all'Inaugurazione dell'Anno Accademico alla Sapienza. Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano. In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato".
(La Repubblica - 14 gennaio 2008)

mercoledì 9 gennaio 2008

Immagini e allucinazioni dal Sud

Costretto alla fuga ed a rinunce
inimmaginabili nella lontana adolescenza,
percorro vicoli di nebbia dai quali
è difficile uscire indenni.
Scelgo allora di scavarmi con

mani troppo delicate
un percorso sotterraneo d'evasione.
Le ferite mi aiuteranno a ritrovare la lucidità.